Il rugby è uno sport per donne?
Per sapere la risposta leggi l’articolo
Ogni anno, a inizio febbraio, io celebro la mia personale fine dell’inverno. Perché? Semplicemente per via dell’inizio del Sei Nazioni o Six Nations.
Si tratta del torneo di rugby più antico che ci sia e, per dirla tra noi, anche il più bello e il più prestigioso. Si svolge in Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda, Francia e, ovviamente, Italia e vede fronteggiarsi le nazionali dei rispettivi paesi nelle varie versioni: prima squadra, under 20 e – udite udite – femminile. Eh già, il rugby è anche una questione per donne.
Dimentica, per favore, i calendari con rugbysti nudi e cose del genere. Quelle foto sono un bel vedere, lo ammetto, ma non sono il rugby. Soprattutto non raccontano tutto il rugby presente nel mondo: quello fatto di bimbi e bimbe che giocano assieme e imparano a rispettarsi, quello fatto di squadre di donne dai 16 ai 40 anni che non vedono l’ora di correre con sotto il braccio la palla ovale per scaricare, magari, le tensioni di una giornata di lavoro. Per me, l’inizio del Sei Nazioni, non è solo un bel torneo con tante partite da guardare. È il rugby che torna in primo piano.
Quanto ne sai di questo sport? Se la tua risposta è “poco”, allora ti racconto qualcosa io.
Come nasce il rugby?
Quando si parla di nascita del rugby ci si perde nella leggenda. Forse anche troppo.
L’idealizzazione vuole che William Webb Ellis, un ragazzo di 17 anni o poco più, un giorno prese in mano il pallone da calcio durante una partita piena di odio e rancore e andò a posare la palla oltre la linea della porta. Inventando così un nuovo sport. La storia ci porta nel 1823, nella città inglese di Rugby (ecco da dove arriva il nome), dove si trova una delle boarding school britanniche più prestigiose.
La Rugby School è una scuola preparatoria all’università (un po’ come se mettessimo medie e superiori assieme, condite con un pizzico di Hogwarts) ancora oggi molto quotata e si trova nella contea del Warwickshire, a circa un paio d’ore da Londra. Webb Ellis studiava lì come molti giovani della borghesia industriale britannica.
Togliendoci dalla leggenda, quello che ti posso dire è che lui e alcuni suoi compagni scrissero per la prima volta le regole di uno sport che attinge, con tutta probabilità, da alcune tradizioni medievali britanniche. Ciò che è vero è che fece la storia e, ancora oggi, la Nazionale Inglese di Rugby gioca in casa con una maglia bianca in onore delle prime divise usate per il rugby nella prestigiosa scuola di Webb Ellis.
Il rugby nacque come cosa da uomini e come tale restò a lungo. Quello che vediamo durante il Sei Nazioni si chiama Rugby Union ed è giocato da 15 giocatori per squadra.
Ad un certo punto della storia del rugby, si formarono due fazioni divise da politica sportiva e decisioni da prendere. Nacquero, per l’appunto, una unione di rugbysti (la Rugby Union) e una lega di altri rugbysti (la Rugby League). Questi due sport sono gemelli diversi, così per dire. Noi ci concentriamo sul rugby a 15 che, successivamente agli anni ’80, ha visto nascere anche un movimento femminile. Ovviamente, l’Italia è stata fanalino di coda anche in questo: i paesi anglosassoni sono anni avanti in fatto di donne che fanno sport giocati solitamente da uomini. Senza che questo sia considerato una eccezione.
Quello che ti voglio dire è che, per giocare a rugby, non devi mica essere un gigante o la donna più sportivamente perfetta del mondo. Il bello del rugby è che è democratico nei suoi ruoli. In poche parole: c’è posto per tutti.
Mentre guarderai la prima partita del Sei Nazioni, osserva i giocatori e guarda i loro numeri sulla schiena: ad ogni numero corrisponde un ruolo definito. Chi gioca col numero 3, per esempio, non potrà mai essere un numero 10. Un 15 non sarà mai un 4. Ogni ruolo necessita di una determinata fisicità, che può essere naturale della persona che gioca oppure conquistata attraverso l’allenamento. Io giocavo numero 9 o numero 10: quelle sono le maglie dei due mediani, uno dei pochi ruoli intercambiabili facilmente nel rugby a 15.
Già, giocavo… non te l’avevo detto?
Il rugby, uno sport per donne
Ho trovato il rugby sulla mia strada tanti anni fa e mi ha portato tante cose belle e alcune meno belle. Le belle, però, battono tutto il resto. Sono diventata capitano di una squadra femminile composta da tantissime donne, tutte diverse tra loro e tutte neofite di questo sport così bello. Il rugby è uno sport che può avere pieno rispetto del corpo femminile. La domanda che mi è stata fatta più di frequente è “ma non ti fai male?”. La mia risposta è sempre stata “no”.
Come tutti gli sport di contatto, necessita di tecnica e di attenzione. Sai che, nel momento del placcaggio, è obbligatorio completare l’azione assieme al tuo avversario? In poche parole, ruzzoli a terra abbracciata alle gambe di chi ti gioca contro. Già solo questa azione basterebbe a raccontare la bellezza di uno sport come il rugby.
Tornando al Sei Nazioni, ti dò un compito. Entra nel Pink Mojito Club, guarda una partita e scrivimi le tue considerazioni o i tuoi dubbi. Io ti risponderò. La diretta tv del Sei Nazioni femminile verrà trasmessa sul canale Eurosport, mentre le gare maschili le trovi sul canale DMAX.
Ti aspetto la prossima settimana per scriverti qualcosa di nuovo su questo sport così speciale.